È convinzione diffusa che i sassi da Curling “siano tutti uguali”: in fondo, quando siamo sul nostro rink, tutti i sassi si assomigliano (o perlomeno dovrebbero!). Ma è davvero così? In effetti la risposta è un po’ più complessa e, scavando (letteralmente) un po’ più a fondo, si scopre che i sassi da Curling possono avere origini diverse, e queste origini danno luogo a caratteristiche particolari che dipendono proprio dal tipo di granito utilizzato.

Le cave

Quando abbiamo iniziato a giocare a Curling ci è stato spiegato che al mondo esistono soltanto due cave di granito che producono una qualità tale da poter essere impiegate nel nostro sport.

La prima in ordine di importanza è la cava dell’isola di Ailsa Craig, nel South Ayrshire in Scozia. Questo isolotto di origine vulcanica ha una superficie di circa 99 ettari e l’estrazione di granito per uso curlistico risale ad una decisione del Marchese di Ailsa del 1851, con cui ha incaricato la società Kays of Scotland di produrre le stones affinché si potesse soddisfare il crescente interesse che il Curling stava conoscendo in Scozia. A titolo di paragone, il “Royal Caledonian Curling Club” – considerato a tutt’oggi il primo e principale curling club al mondo – era stato fondato nel 1838 a Edimburgo dopo che la stessa Regina Vittoria aveva assistito ad una dimostrazione dello sport tenutasi allo Scone Palace di Perth. Si considera che attualmente il granito di Ailsa Craig rappresenti il 60-70% dei materiale da gioco in uso presso i vari club del mondo. Negli ultimi decenni il sito è stato classificato quale importante riserva faunistica e naturalistica ed ospita un numero elevato di specie di uccelli ed animali marini protetti; alla società Kays è stata permessa l’estrazione soltanto ogni decina d’anni (nel 2002, poi di nuovo nel 2013) durante un periodo sufficiente a ricavarne materiale per coprire il fabbisogno mondiale per i successivi vent’anni. Nel 2013 l’attuale Marchese di Ailsa ha ceduto l’isola per l’equivalente di 2.2 milioni di Franchi (ca. 1.5 milioni di sterline), rendendo incerto il futuro della cava di granito.

La seconda cava è situata nel Wales ed ha aperto i battenti prima che Kays of Scotland potesse avere accesso a Ailsa Craig: correva l’anno 1850 e presso il piccolo villaggio di pescatori di Trefor, nei pressi del quale sorge il promontorio Yr Eifl, viene inaugurata l’omonima cava di un altro tipo di granito, anch’esso adatto al gioco del Curling. La cava di Trefor è oggi di proprietà della Canada Curling Stone Company, una società canadese che ne ha acquistato i diritti di estrazione negli anni ’90. La cava non sottostà alle rigide limitazioni imposte agli operatori di Ailsa Craig e dunque il materiale proveniente da Trefor è molto più disponibile ed ha prezzi più contenuti.

I tipi di granito

Alle nostre pietre richiediamo due caratteristiche a prima vista completamente antitetiche: devono essere sufficientemente “elastiche” da assorbire le collisioni senza sbriciolarsi al primo impatto, ma devono anche essere molto rigide e dense in modo da non assorbire l’inevitabile umidità derivante dal contatto con la superficie ghiacciata del rink.

Nella seguente tabella sono riassunti i principali tipi di granito utilizzati oggi nel Curling

Provenienti da Ailsa Craig:

Denominazione Colorazione Densità Elasticità
Ailsa Craig Blue Hone grigio chiaro con macchie bianche +++
Ailsa Craig Common Green verdastra + +++

Provenienti da Trefor:

Denominazione Colorazione Densità Elasticità
Blue/Gray Trefor bluastra con macchie bianche e nere + ++
Red/Brown Trefor rossastra con macchie bianche e nere ++

Esistono poi anche delle qualità minori, come ad esempio il Keanie o il Ailsa Craig Red Hone, che però sono relativamente poco diffuse.

Una domanda che sentiamo spesso, vivendo in un cantone ricco di cave di marmo e granito qual è il Ticino: “ma il nostro granito non andrebbe bene?”. La risposta è molto semplice: no, non andrebbe bene, perché il granito nostrano non dispone né delle qualità superficiali né di resistenza agli impatti e tenderebbe a sbriciolarsi dopo poche collisioni. Se però una qualche cava di granito ticinese volesse decidere di mettere il proprio granito alla prova, siamo volentieri a disposizione!
Cos’è che rende il granito idoneo all’uso per il Curling? La principale caratteristica è lo scarso assorbimento di umidità nei pori del materiale; la dilatazione, rispettivamente contrazione, dell’umidità intrappolata nei pori del sasso è una delle principali cause di rottura del sasso stesso. Soltanto un materiale molto compatto, come quello scozzese rispettivamente gallese, può resistere nel tempo a continui sbalzi d’umidità ed alle collisioni – a volte anche violente – di due sassi durante i “take-out”.

Non va infine dimenticato che, nonostante un produzione di livello industriale, il materiale resta comunque di origine naturale e può presentare, anche all’interno dello stesso lotto di produzione, variazioni significative della qualità. Le società produttrici cercano, sulla base della loro esperienza, di accomunare quanto più possibile la pietra dalle caratteristiche simili, ma piccole variazioni tra un sasso e l’altro non possono essere escluse. Da tenere in considerazione quando un sasso “curla” decisamente meno (o più) di un altro, all’interno dello stesso “set”.

Le combinazioni

Come visto nella tabella di cui sopra, il granito “ideale” non sembra esistere: una delle sue due caratteristiche essenziali solitamente inficia negativamente l’altra. Sulla base di queste considerazioni, i produttori di sassi da Curling hanno iniziato, una quarantina di anni fa, a proporre sassi “ibridi”, utilizzando il materiale migliore laddove possibile. Si è dunque iniziato a fresare delle opportune aperture su entrambi i lati del sasso ed inserire, in fase di produzione, un disco del materiale più denso ad essere utilizzato a contatto con la superficie di ghiaccio, lasciando il materiale più elastico ad assorbire le collisioni. I cosiddetti “insert” rappresentano oggi quanto di meglio il mercato dei sassi da curling possa offrire, abbinando la qualità della superficie di contatto con la longevità della banda di collisione e facendo sì che i sassi, oggi, siano più longevi che mai. Purtroppo questa ulteriore lavorazione ha fatto ulteriormente lievitare il prezzo di un “set” di sassi.

Oggi la combinazione più performante è rappresentata dai sassi in Ailsa Craig Common Green con inserti di Blue Hone: questa è la struttura dei sassi che la World Curling Federation utilizza in occasione dei Mondiali o dei Giochi olimpici.

Il prezzo

“Quanto costa un sasso da Curling” è una domanda con cui siamo confrontati molto spesso. Togliamoci il dente: un set di 16 sassi da Curling, nuovi, costa indicativamente tra i 7’000 e i 12’000 franchi, trasporto (molto oneroso!) escluso. Prima di bollare questi valori come “fuori di testa”, vanno però fatte alcune importanti considerazioni. In primis la longevità dei sassi da Curling, che – se usate e mantenute in modo corretto – può arrivare anche a 50 – 70 anni, con una media comunque molto alta attorno a 25-35 anni. Si tratta dunque più di un “investimento” che di un reale costo, investimento che viene quasi ovunque fatto dai club di curling e non più (come accadeva fino a qualche decennio fa) dai singoli.

Vale la pena acquistare i sassi più costosi? Dipende dall’uso che se ne vuole fare: a livello amatoriale (parlo ad esempio delle piste Ticinesi), è molto difficile che vi sia un’apprezzabile differenza di reazione tra un Blue Hone oppure un Red Trefor, dovuto al fatto che le condizioni di esercizio di questi sassi, con superfici non omogenee, ghiaccio con temperature fortemente mutevoli o altalenanti, e – non dimentichiamocelo (senza far torto a nessuno!) – giocatori che non dispongono di una tale sensibilità per i quali queste differenze siano apprezzabili. Se invece parliamo di atleti olimpici che si allenano su piste appositamente preparate il discorso ovviamente cambia.

La manutenzione

La manutenzione necessaria per i nostri sassi da Curling dipende fondamentalmente dall’uso che se ne fa, dalla qualità della superficie di gioco e dell’acqua utilizzata, nonché dallo stoccaggio tra una partita e l’altra e tra una stagione e la successiva. Tra le operazioni periodiche necessarie si annoverano il “retexturing” della superficie di contatto, ovvero la ritramatura dei microsolchi presenti sulla superficie che poggia sul ghiaccio, operazione che permette di ridare al sasso sufficiente “presa” sul ghiaccio e quindi restituirgli un po’ di curl. Gli operatori raccomandano un “retexturing” ad ogni stagione in caso di uso frequente, per esempio durante la pausa estiva. Per dare un’idea, i sassi utilizzati per Mondiali e Olimpiadi vengono trattati giornalmente, mentre per i club i produttori raccomandano un trattamento ogni anno o, in caso di uso non frequente, anche fino a 3-4 anni.

Un’altra operazione, meno frequente, è la tornitura della banda di collisione: a seguito dei frequenti contatti e a dipendenza del materiale utilizzato, la banda di collisione può iniziare a scheggiarsi e questa situazione può causare problemi di varia natura (detriti e microdetriti sul ghiaccio, collisioni non omogenee). In questo caso i sassi vengono torniti con un apposito macchinario che ne riduce leggermente diametro e – conseguentemente – peso, ingrandendo al contempo la banda di collisione. La perdita di peso si aggira sul mezzo chilo al massimo, motivo per cui questa operazione non è ripetibile all’infinito. I produttori raccomandano una tornitura ogni 10-15 anni oppure in presenza di scheggiature della banda di collisione.

Fotografie e fonti